Oggi abbiamo oziato. Lo possiamo dire senza vergogna. Le ultime settimane sono state delle montagne russe. Sempre in movimento, sempre con lo zaino in spalla, sempre con le antenne dritte, pronti ad intercettare ogni minima sfumatura, per poi poterla raccontare. Ci serviva un giorno di riposo. E ce lo siamo preso tutto.
Abbiamo approfittato del nostro bellissimo villaggio pirata, delle acque limpide del lago Coatapeque e del sole dei tropici, che ci ha benedetti con una temperatura costante di trentacinque gradi. Un lusso che non tutti possono concedersi. Ne siamo consapevoli e grati.
Il nostro ostello di palafitte sul lago ieri era praticamente deserto. Oltre a noi c’erano giusto una manciata di ospiti. Qui in El Salvador in 24 dicembre lo si trascorre in casa, in famiglia. È il 25 che si esce a festeggiare. Intensamente. E infatti oggi ci svegliamo in una atmosfera completamente diversa. Fin dalle prime ore del mattino osserviamo l’ambiente che ci circonda riempirsi gradualmente di famiglie e comitive di amici. Il lago è conveniente posizionato a meno di un’ora di macchina sia da San Salvador che da Santa Ana e le sue bellezze attirano quindi molti abitanti delle due città, che lo scelgono come meta per trascorrere delle piacevoli giornate fuori porta. Quello dove siamo non è solo un albergo, ma è anche un ottimo ristorante e molti quindi vengono anche solo per mangiare e per trascorrere ore spensierate sulle rive del lago. Attorno a mezzogiorno la struttura è piena di gente. L’atmosfera è festosa. Si sta bene.
Noi ci facciamo i fatti nostri. Ci godiamo un pranzo a base di pesce nel punto più sopraelevato della struttura, il cosiddetto mirador, un tavolo e due sdraio con una vista incredibile sul cratere e sulle sue acque. Ci lasciamo cullare dalle comodissime amache e chiacchieriamo per ore. Discutiamo sulle nostre prossime mete e su quanto abbiamo visto e sperimentato fino ad ora. Dopo quasi quattro settimane si possono azzardare i primi bilanci, del resto.
Mentre ci dedichiamo felici alle nostre faccende, con la coda dell’occhio, li notiamo. Sempre. In ogni momento.
Gli sguardi, curiosi. I sorrisi. Le domande delle comitive. Siamo ancora una volta gli unici stranieri qui. È evidente da tutto. Dai nostri abiti. Dal colore della nostra pelle. Dalla lingua che parliamo. E infatti non dobbiamo attendere molto prima che, disinibiti dalle birre, i più coraggiosi inizino ad approcciarci, con le scuse più improbabili, per domandarci chi siamo e da dove veniamo.
Ciò che ci colpisce sono i sorrisi di stupore quando rispondiamo che sono settimane che giriamo tutto El Salvador, che lo faremo ancora per diverso tempo, che ci stiamo trovando benissimo, che lo troviamo bellissimo e che abbiamo incontrato gente disponibile e gentilissima. A quel punto tutti si inorgogliscono e si illuminano di felicità. E si affrettano a dirci che i Salvadoregni sono così. Un popolo dal grande cuore, con uno spiccato senso dell’ospitalità e della famiglia. Che siamo i benvenuti e che la cultura locale valorizza le diversità. Che è aperta e disponibile verso lo straniero, anche se qui se ne vedono pochi. Ci offrono ospitalità, ci chiedono i contatti sui social, i numeri di telefono. Si affrettano a invitarci a visitare le loro città di origine, a provare ogni sorta di cibo e specialità locali.
A voler essere sinceri in alcuni momenti vorremmo solo essere lasciati tranquilli, ma ci lusinga e ci onora tutta questa positività nei nostri confronti. Ci rendiamo conto però che c’è anche una ragione più profonda del loro atteggiamento, che non può non essere considerata.
Che brutto deve essere per una intera nazione, popolata per la stragrande maggioranza da persone per bene, onesti lavoratori, padri di famiglia ed esseri umani dai nobili valori, essere costantemente associati a storie di malavita, di degrado, di violenza. Essere per anni noti internazionalmente solo ed esclusivamente come il paese più violento del mondo. Come un luogo dal quale tenersi alla larga. Come una terra senza speranza, segregata dagli scontri tra gang criminali che, per quanto capaci di efferatezze inenarrabili, rappresentano comunque statisticamente una risicata minoranza del popolo di El Salvador. Che ingiustizia.
C’è un senso di rivalsa infondo dietro tutte quelle attenzioni e quesi sorrisi. La felicità per avere incontrato due stranieri che hanno saputo andare oltre la nomea del loro paese e ci sono venuti. Per conoscerlo. Per viverlo. La gioia nel sentirci raccontare di avere trovato in questa terra anche tutto il bello che davvero c’è. La genuinità del suo popolo. I panorami fiabeschi. La cultura, le tradizioni. E la speranza che noi si possa finalmente essere solo le avanguardie di una nuova ondata di visitatori e turisti, che molti altri, come noi, possano trovare lo stimolo per venire a riempire le strade di queste città, restituendo a questa gente la dignità ed il rispetto che meritano.
Se Bitcoin riuscisse anche solo a fare questo per El Salvador, avrebbe avuto senso. Pertanto, lo diciamo a voi, bitcoiner di tutto il mondo. Non limitatevi a leggere da casa quello che sta accadendo qui. Veniteci. Venite ad El Salvador.