Oggi per noi è stata una giornata importante perché siamo riusciti a finalizzare con successo una serie di incontri con contatti che abbiamo curato con particolare attenzione negli scorsi giorni. Amici che nei mesi passati hanno lavorato attivamente al progetto Bitcoin in El Salvador e che quindi hanno tutte le esperienze necessarie per rispondere ad una serie di domande che ci assillano da quando siamo arrivati nel Pese.
Perché il wallet Chivo è stato sviluppato in una maniera così illogica? E quali sono le motivazioni dietro il suo comportamento erratico?
Prima di addentrarci appieno in questa succosa vicenda, ricca di colpi di scena e pastoie politiche, occorre fare una premessa: l’ambasciata italiana di El Salvador ci ha gentilmente messo in contatto con la responsabile delle comunicazioni internazionali della Presidenza della Repubblica a San Salvador, alla quale abbiamo espressamente chiesto di poter intervistare il responsabile dello sviluppo del wallet, ma dalla quale non abbiamo ricevuto nessuno risposta a riguardo.
E quindi, da buoni podcaster d’assalto, ci siamo rimboccati le maniche e ci siamo messi a indagare per conto nostro.
Quando ci si deve approcciare ad una storia tanto complessa come quella che stiamo per raccontare, conviene sempre iniziare dal principio: la vicenda della Ley Bitcoin in El Salvador, secondo le nostre fonti, inizia oltre due anni fa. È nel 2019 infatti che il presidente Bukele inizia a esprimersi pubblicamente su Bitcoin e le criptovalute, cullando il sogno di utilizzare la tecnologia per dare un impulso allo sviluppo del suo Paese. Non è il solo però a coltivare questa fascinazione. Assieme a lui infatti lavorano fin da subito al progetto un pool di misteriosi consulenti venezuelani, capitanati da Sarah Hanna, vera e propria eminenza grigia dietro il giovane presidente.
Più fonti giornalistiche confermano il fatto che questi consiglieri occulti vadano a formare una specie di supergabinetto, che segue Bukele fin da quando era Sindaco della piccola cittadina di Nuevo Custaclan e che ne hanno guidato il percorso fino a farlo diventare l’uomo più popolare del Paese. Politicamente sono tutti legati all’autoproclamato governo provvisorio di Juan Guaidó, sono quindi oppositori di Maduro nella loro nazione di origine, tutti esperti di comunicazione, marketing e nuove tecnologie, tutti giovanissimi. Sarebbero loro ad avere coordinato l’intero progetto cripto salvadoregno.
Si parla di criptovalute in questa fase non a caso. Le nostre fonti infatti rivelano come, fin dall’inizio del 2020, un team di dirigenti di Cardano, nota shitcoin svizzera, si fosse trasferito nella capitale di El Salvador per fare lobbying politico e lavorare ad un progetto di transizione economica. Le trattative e la progettazione preliminare sono andate avanti per oltre un anno e mezzo: avrebbe dovuto essere Ada, nei progetti iniziali il legal tender designato. Pensate che ridere.
Poche settimane prima dell’annuncio però qualcosa inizia ad andare storto. Chi ci parla non sa bene descrivere cosa. Pare sia stato proprio il supergabinetto venezuelano ad irrigidirsi, memore forse dell’esperienza con la shitcoin di Maduro. Le soluzioni tecniche presentate inoltre sembrano non soddisfare Bukele e con una imprevista inversione di marcia si straccia l’opzione Cardano e si punto tutto su Bitcoin, lasciando però l’intero progetto sprovvisto di sviluppatori competenti.
Con pochissimo tempo ormai a disposizione, si sceglie di affidare l’impresa ad Athena, azienda statunitense specializzata in Bitcoin ATM, che già aveva vinto l’appalto per consegnare ad El Salvador i Chivo ATM. Ed è qui che iniziano i dolori. Le oltre trecento macchine fornite da Athena infatti sono in realtà fondi di magazzino, prodotte da una azienda cinese che nel frattempo è fallita e per le quali quindi non viene più sviluppato alcun firmware. Gli americani non hanno grande esperienza né nella produzione di hardware e nemmeno in quella software e senza la possibilità di aggiornare adeguatamente il firmware dei Chivo Point, la flessibilità nelle loro compatibilità risulta estremamente limitata. È questo il primo collo di bottiglia che si presenta nello sviluppo del progetto.
È Athena quindi la responsabile singola dello sviluppo del wallet Chivo, sotto la direzione di Sarah Hanna e dei venezuelani e la stretta supervisione di Bukele. Con queste premesse, ci viene confidato, il fatto che Chivo riesca più o meno a funzionare è un vero e proprio miracolo informatico.
Le indicazioni dall’alto poi sono chiare. L’applicazione dovrà basarsi su un database interno, che gestisca sia i bitcoin che i dollari, che però dovrà anche interfacciarsi al Lightning Network ed al alla blockchain e consentire l’interoperabilità con altri wallet. Non facile sincronizzare tutto quanto, specie per un team di sviluppo senza nessuna esperienza come quello di Athena. Dovranno poi essere implementati tutta una serie di blocchi e filtri. Ritirare o cambiare i 30$ di bonus iniziale dev’essere reso impossibile e occorre inserire dei sistemi di controllo, in modo da poter regolare i flussi di cassa in entrata ed in uscita su entrambi i fronti valutari. Non deve assolutamente succedere che le casse dello stato si prosciughino o non abbiano liquidità sufficiente a coprire i passaggi da digitale a contante della popolazione.
Come fare?
Semplice. Si inserisce un interruttore lato server che disattiva i servizi quando necessario. Ogni transazione in uscita infatti passa al vaglio del server centrale di Chivo e quando le richieste superano determinati parametri il wallet semplicemente impedisce che vengano comunicate ai nodi della blockchain o a quelli Lightning. Vengono bloccate all’origine. Tutto funziona istantaneamente solo quando si rimane nel recinto del wallet perché in quel caso sono effettivamente solo spostamenti contabili che avvengono sul ledger interno e di Stato, ma nella realtà non viene spostato un singolo centesimo né un singolo satoshi. Un accrocchio allucinante.
La scelta di occultare le transazioni Lightning all’interno dell’interfaccia utente è infine una diretta conseguenza di questa impostazione. La gestione dei nodi è infatti appaltata ad una azienda esterna, molto competente e sono tutti adeguatamente provvisti della liquidità necessaria a garantirne il funzionamento, che sarebbe quindi impeccabile. Se il Lightning Network fosse facilmente accessibile a tutta la popolazione, la sua comodità farebbe aumentare a dismisura le transazioni verso l’esterno, costringendo il sistema a bloccarne una grande quantità, con evidente danno alla reputazione di Chivo stesso e, conseguentemente, del Governo. Meglio quindi nasconderlo per bene, non menzionarlo nemmeno e rinchiudere il più possibile i cittadini all’interno di Chivo, dove tutto funziona alla perfezione.
Nonostante quando abbiamo appena descritto sia la negazione in terra della filosofia di Bitcoin, non bisogna essere troppo severi. Quanto Bukele sta facendo in El Salvador ha comunque una portata storica ed è di grande rilevanza per il futuro di questa tecnologia. Ci viene riferito inoltre che recentemente, durante una serie di colloqui privati, il Presidente avrebbe dichiarato che Chivo è solo una fase transitoria e che presto il mercato verrà aperto anche ad altri wallet. C’è solo da sperare che, col passare del tempo, non ci sia nulla e nessuno capace di fargli cambiare idea su questo punto.