Da queste parti del mondo i ritmi di vita hanno tutta un’altra intensità. La frenesia dell’occidente è lontana migliaia di chilometri e così capita che, anche quando pensi di avere organizzato tutto in maniera impeccabile, un qualche imprevisto si presenti a scombussolarti tutti i piani.
È quello che è appena successo a noi. L’automobile del nostro autista ha infatti appena subito un non meglio precisato guasto meccanico e anziché partire da El Zonte nel pomeriggio riusciamo a farlo solamente a tarda notte.
Poco male perché questo ci lascia un giorno in più per vagare per le viette della Bitcoin Beach ed interagire con la cittadinanza. Qualcosa, ci rendiamo conto, è cambiato nella maniera con cui la gente ci guarda e si approccia a noi. Ormai siamo facce note. La comunità qui è microscopica ed i turisti non sono certo migliaia. Siamo gli Italiani che vanno in giro a fare strane domande su Bitcoin e che possono pagare solo con quelli. Sarà forse per questo motivo che i locali sono più aperti nei nostri confronti e ci confidano sempre più spesso cosa davvero pensano di questa novità tecnologica. Raccogliamo quindi tutta una serie di nuove testimonianze e quelle che ci colpiscono maggiormente sono, neanche a farlo apposta, quelle negative.
Negli scorsi giorni infatti abbiamo raccolto sempre più pareri dissonanti rispetto al grande entusiasmo generale che sembra pervadere questa zona di El Salvador, la più bitcoinizzata.
Non ci stupisce affatto, dopo avere raccolto varie testimonianze, riconoscere alcuni pattern ricorrenti. Alcune forme di dissenso comune e condiviso che, guarda caso, fanno tutte riferimento ad alcuni atteggiamenti nefasti propri dell’uomo più che a caratteristiche specifiche della tecnologia.
C’è diffidenza più nei confronti delle persone che stanno portando Bitcoin in quest’area geografica che nel sistema di pagamento distribuito. Il gruppo di persone che si sono radunate attorno alla Hope House, il centro di divulgazione coordinato da Michael Peterson, colui che ha raccolto la cospicua donazione da parte di un anonimo mecenate e che ha avviato il progetto di economia circolare basato sulla criptovaluta autoproclamandosi Direttore della Bitcoin Beach, viene visto da molti con un certo sospetto. Vengono accusati di pratiche poco trasparenti, di stare sfruttando Bitcoin per ritagliarsi un ruolo di leadership nella comunità e di avere implementato un sistema di sorveglianza economica fra la popolazione. Il wallet sviluppato e diffuso dall’organizzazione in effetti non da a chi lo utilizza il possesso delle chiavi private, è quindi un custodial wallet. Non si capisce proprio come un ente che dice di voler insegnare Bitcoin alla popolazione non senta il bisogno di partire da un concetto base di sovranità economica come la custodia delle proprie chiavi. Voglio dire, se la società in El Salvador si fonda sul contante, questo significa che ogni cittadino ha in casa un posto dove nasconde le proprie banconote, tante o poche che siano. Non lo si ritiene quindi in grado di nascondere con efficacia un foglio di carta con dodici o ventiquattro parole annotate?
Tutte perplessità queste che ci toglieremo molto presto perché abbiamo già chiesto di poter parlare con qualcuno dei responsabili del progetto. In generale però, dobbiamo ammetterlo, nemmeno a noi questo approccio piace e capiamo come possa istillare del dubbio nella comunità.
C’è poi un’altra forma di fastidio ricorrente che abbiamo notato nelle persone meno convinte dal progetto Bitcoin a El Zonte. Qualcosa che ha a che fare con un sentimento atavico dell’uomo, per quanto a nostro parere non condivisibile. Quella forma di sovranismo, di protezione nei confronti del proprio territorio, della propria identità culturale e delle proprie tradizioni che si ripete uguale a se stesso ad ogni latitudine.
Negli scorsi anni la popolazione locale ha assistito sempre con maggiore frequenza a carovane di stranieri, Americani soprattutto, arrivare sulle loro spiagge con i portafogli gonfi, fisici o digitali che fossero, e comprare proprietà e terreni. In molti lamentano atteggiamenti sprezzanti, di manifesta superiorità, scarso rispetto per gli individui del luogo e abbiamo sentito non di rado associare questo tipo di atteggiamento a Bitcoin. La stessa grande conferenza, tenutasi nelle vicinanze di El Zonte nemmeno un mese fa, se per alcuni è stata un evento memorabile, da altri viene vista come il principio di una nuova colonizzazione economica e culturale, perpetrata dal solito straniero danaroso e prepotente.
È per noi chiaro come dietro queste opinioni ci sia soprattutto paura del cambiamento, di vedere la propria povertà sostituita dalla sudditanza economica, e quella forma di orgoglio identitario che sappiamo essere tanto efficace anche tra la colta e ricca società del primo mondo. E tuttavia ci piacerebbe che chi viene ad investire in questa terra tanto sfortunata avesse la sensibilità di farlo in maniera dolce ed empatica. Con spirito di condivisione ed aiuto. Ci piacerebbe che i bitcoiner dimostrassero davvero di essere in El Salvador il cambiamento che vogliono vedere nel mondo.
Ma sappiamo che questo non è possibile perché il bug è sempre l’uomo e l’avida arroganza di certi bitcoiner la conosciamo bene. La vediamo tutti i giorni nelle chat e sui social di casa nostra. L’euforia per il riscatto sociale che si tramuta in bieca sopraffazione.
Ci consola solamente la profonda convinzione di stare vivendo una fase di transizione. La rivoluzione che Bitcoin sta portando nel mondo avrà infatti, una volta compiuta, l’effetto benefico di marginalizzare l’uomo e la sua influenza sulla società. Ed è solo così che arriveremo a costruire qualcosa di migliore.