Non dire gatto finché non ce l’hai nel sacco.
La nostra giornata inizia bene. Qui fa un caldo atroce e decidiamo di visitare un mercatino dell’artigianato poco distante dal nostro hotel. È molto bello e caratteristico. Pieno di merce e souvenir. Nelle varie bancarelle si può trovare ogni sorta di articolo di produzione locale come indumenti, cappelli, bigiotteria, oggetti artistici dai colori e dalla foggia precolombiana. L’ambiente è molto suggestivo, con musica e gentilissimi venditori. È chiaramente pensato per visitatori e turisti. Ligi alla nostra missione cominciamo a chiedere a tappeto se è possibile pagare in bitcoin. Circa il 40% dei negozianti lo consentono ed infatti fanno bella mostra del simbolo arancione all’esterno delle proprie attività. Quando chi ancora non li accetta ci sente rispondere che possiamo pagare solo in criptovaluta e ci vede entrare nel negozietto adiacente, ci guarda andare via un po’ stranito. È la legge di Darwin: evolviti oppure estinguiti.
Con sorpresa notiamo che tra i prodotti in vendita ce ne sono diversi che rappresentano il Presidente Bukele in pose quasi mistiche. Tazze, magliette, persino mascherine: un vero e proprio inno al culto della personalità che avevamo visto solo nella Russia di Vladimir Putin. Speriamo tanto questo non sia un cattivo presagio.
Non compriamo nulla per non appesantirci inutilmente per il resto della nostra avventura ma torneremo sicuramente a fare regali prima di lasciare il Paese. Ordiniamo due bottiglie di Coca Cola ad una bancarella di alimentari. La proprietaria sa produrre un QR lightning e la transazione va a buon fine. Negli ultimi giorni il wallet Chivo sembra avere smesso di fare i capricci ad onor del vero. Meglio così.
Nel pomeriggio decidiamo di visitare alcune località nelle immediate vicinanze di San Salvador. C’è molto da vedere qui attorno. Laghi, vulcani dai crateri concentrici e foreste. Tutto a pochi chilometri di distanza. Ed è qui che la nostra giornata prende una piega inaspettata.
Nel blog di ieri avevamo annunciato trionfanti come Uber sarebbe stata la soluzione più comoda e rapida per spostarsi nel Paese. Nella notte abbiamo acquistato una gift card in bitcoin e l’abbiamo inserita nell’applicazione, ma pur avendo 100$ di credito, Uber ci chiede comunque di registrare una carta di credito. Poco male, useremo comunque sempre le ricariche di Bitrefill e quindi questo non contravviene alle regole della nostra missione. Dopo aver inserito i dettagli della Mastercard però, al momento di confermare la prima corsa, l’app ci comunica che il metodo di pagamento non è valido. Riproviamo diverse volte ma nulla da fare e non c’è modo apparentemente di bypassare questo passaggio, forzando il servizio ad utilizzare il credito Uber cash già presente. Cambiamo carta di credito, ne inseriamo una terza. Nulla da fare. Continua a dirci pagamento non valido. La frustrazione comincia a farsi sentire e decidiamo quindi di rivolgerci all’assistenza. Dopo una decina di minuti una mail ci comunica che il nostro metodo di pagamento non sarebbe valido secondo i “termini e condizioni” dell’azienda rimandandoci ad un documento di dieci pagine tutto scritto in legalese stretto. Chiediamo se possono essere più precisi, se ci possono indicare chiaramente qual’è il problema e se ci possono fornire aiuto nel risolverlo, ma sembra di parlare con un muro di gomma. Le risposte sono laconiche e fanno sempre rifermento ai famigerati “terms and conditions”. Non riusciamo ad uscirne, tanto che chiediamo di poter parlare con un operatore. La risposta è sorda e nessuno ci fornisce un contatto diretto. Ci viene servito sempre il solito mantra e ci viene il sospetto di avere a che fare con un bot. Ma non è così, le mail portano in calce nomi e cognomi (sempre diversi tra l’altro). Stiamo davvero parlando con dei dipendenti del pessimo servizio di assistenza della multinazionale Uber. Sono passate tre ore e ancora non ne abbiamo cavato un ragno dal buco.
Mentre sotto i nostri occhi si dipana questa commedia degli orrori degna del film Idiocracy non riusciamo a pensare ad altro che alla cruda realtà: Bitcoin fixes this.
Perché capite qual’è il problema, vero?
Per poter pagare 15 pulciosi dollari di corsa si deve attivare una farraginosa serie di superflue intermediazioni internazionali. L’app deve chiedere il permesso al provider della carta di credito, che deve avere l’ok dalla nostra banca, che deve comunicarlo alla banca di Uber, che deve dare il via libera all’applicazione. Tutto questo nel 2021, quando alla velocità di un lampo potremmo dare prova crittografica al sistema dell’effettivo possesso della mia unità di valore, ed effettuare una transazione inviolabile e matematicamente irreversibile, senza bisogno di alcuna ulteriore garanzia da parte di terzi. Per tutelare il privilegio di pochi abbiamo costruito attorno a noi un mondo inutilmente complesso, che oggi è obsoleto oltre che idiota e va sradicato dalle fondamenta.
Dopo ore di tentativi gettiamo la spugna senza sapere se saremo mai in grado di utilizzare Uber in El Salvador.
L’unica nota positiva del pomeriggio è che ad un certo punto i morsi della fame ci ricordano che dalla frustrazione ci siamo persino dimenticati di pranzare. Laura scende in reception ad ordinare due sandwich da portare in camera e l’inserviente, sorridendo, apre il wallet Chivo e, navigando tutto da solo nelle machiavelliche impostazioni, seleziona in autonomia un pagamento Lightning. Il nostro ruolo di adorabili educatori rompicoglioni sta sortendo i suoi effetti. I Salvadoregni imparano.
Postilla: fossi in Papa Francesco farei quanto prima un endorsement ufficiale a Bitcoin perché le bestemmie che abbiamo lanciato oggi per colpa di Uber e del sistema finanziario tradizionale avrebbero annichilito anche il pantheon più sofisticato.
Ora a San Salvador è calata la notte ed andiamo ad affogare i nostri dispiaceri in un secchiello di gin tonic. Per oggi è tutto. A domani.