Tra le sfide più toste che dovremo affrontare in questa avventura salvadoregna, abbiamo già capito, ci sarà sicuramente il trovare dove dormire. Per qualche incomprensibile motivo il settore alberghiero non sembra avere ancora capito quale straordinaria opportunità sia Bitcoin per loro. Fin dal principio abbiamo deciso di non trascorrere mai troppo tempo nello stesso albergo o appartamento, ma tentare di spostarci quanto più possibile, per cogliere al meglio le varie sfaccettature delle città e della società. Negli scorsi giorni abbiamo mandato una serie di email chiedendo a diversi alberghi se fosse possibile pagare una camera in bitcoin, ma tutte le risposte sono state sempre negative. Il grosso delle strutture ricettive tuttavia non hanno un proprio sito web ed è possibile prenotare solo attraverso siti come Booking, che non ti permettono di contattarle anticipatamente ed accettano solo carte di credito.
È quindi chiaro il da farsi: tocca scegliere una meta e fare porta a porta.
Decidiamo di spostarci nella Zona Rosa, l’area più altolocata di cui abbiamo parlato nel diario di ieri, perché sembra essere più Bitcoin friendly e c’è una buona densità di alberghi.
Prima però occorre trovare un tassista bitcoiner.
Ci alziamo di buona lena, sicuri di avere davanti una lunga giornata, e troviamo una stazione dei taxi non lontana. Il venerdì è particolarmente caotico a San Salvador e le strade sono totalmente ingorgate dal traffico. Girato l’angolo vediamo una schiera di auto gialle parcheggiate. Inizio a domandare, ma il primo autista mi dice di non avere l’applicazione. Nemmeno il secondo sembra volerci portare ma mi accompagna negli uffici della stazione e sparge la voce tra i colleghi. Si crea un gran capannello e presto mi si avvicina un uomo con uno smartphone in mano. Lui l’applicazione ce l’ha, ma non l’ha mai usata. Un collega più giovane gli mostra come fare ma seleziona la solita transazione BTC standard. Gli faccio vedere io come selezionarne un Lightning. Effettuo il pagamento ed incrocio le dita. Chivo non batte ciglio. Immobile. Inchiodato. Torniamo nella schermata con l’elenco delle transazioni e facciamo refresh una manciata di volte. Dopo circa un minuto la transazione arriva. Senza un suono né una notifica. Ce l’abbiamo fatta, oggi il wallet di Stato salvadoregno, sempre inspiegabilmente lento, sembra voler collaborare. Il tempo di lanciare gli zaini nel bagagliaio e il nostro taxi pagato in bitcoin inizia la sua corsa.
Raimondo, il taxista, è gioviale ed in vena di chiacchiere. Non aveva mai usato il suo Chivo se non per spendersi i trenta dollari di bonus ma lo ha colpito la facilità con cui lo abbiamo pagato
“Dovresti vedere un wallet Lightning con le palle” – penso io – ma non glielo dico. È un fan di Bukele, gli sembra più onesto dei precedenti Presidenti, tutti accusati di frode e corruzione, e pensa stia lavorando bene. Non sapeva Bitcoin fosse valuta legale solo nel suo Paese e ne sembra orgoglioso.
Arrivati in Zona Rosa inizia la transumanza. Giriamo diversi hotel, tutte belle strutture, eleganti e ben curate. Purtroppo però la risposta è sempre la stessa: “Non li accettiamo ancora ma lo faremo molto presto, ci stiamo lavorando”. Vorrei dir loro che se mi danno trenta secondi li attrezzo in un attimo e che è facilissimo, ma non mi sembra il caso di fare polemica. Iniziamo a preoccuparci, quando ci imbattiamo in un hotel poco visibile dalla strada. Si chiama Cinco. Entriamo e chiediamo alla reception. La signora che ci accoglie inizialmente sembra spaesata. Una stanza sarebbe disponibile ma deve chiedere alla proprietaria per il pagamento. Dopo qualche minuto me la passa al telefono. Si chiama Maria e parla un ottimo inglese, la nostra conversazione quindi può essere disinvolta. Mi chiede se basta che lei mi invii via Whatsapp il codice QR. Io rispondo di sì et voilà: abbiamo una stanza. Siamo stati fortunati perché l’hotel è bellissimo. Un’oasi lussureggiante nel caos cittadino. Ci staremo bene.
Nel pomeriggio mi contatta per saldare il conto e abbiamo occasione di chiacchierare un po’. È sinceramente interessata a Bitcoin ma siamo solamente i secondi clienti a sceglierlo come metodo di pagamento. Dice che insegnerà al suo personale come utilizzarlo perché le sembra una opportunità. La cosa interessante è che le hanno detto che dovrebbe usare un wallet diverso da Chivo e mi chiede conferma. Le spiego delle chiavi private e di come il wallet di Bukele non le dia in realtà il possesso della sua criptovaluta e mi sembra colpita e convinta. Vuole approfondire.
È interessante notare come le informazioni circolino meglio tra le classi più abbienti e siano più accurate. Maria è una imprenditrice e sa il fatto suo, sicuramente il suo giro di amici è come lei. È normale che siano loro le prime a poter godere appieno delle innovazioni tecnologiche, è sempre stato così, i primi a possedere un’automobile, un computer, uno smartphone, erano tutte persone ricche. Ma questo conferma il fatto che, se si vuole davvero che Bitcoin sia un opportunità per un intero popolo, i meno privilegiati vanno sostenuti ed educati con maggiore cura.
La sera usciamo nella Zona Rosa. È letteralmente un’altra città. La gente è ben vestita, le macchine sono eleganti, i locali chiassosi e lussuosi. Tutto molto patinato ma sinceramente poco caratteristico. Sembra di stare in una cittadina del sud della California. Chiediamo a diversi locali e ristoranti ma sono in molti a non accettare Bitcoin. Non tutti i ricchi sono così svelti a comprendere evidentemente. La cosa curiosa è che al momento di saldare il conto nessuno di quelli che invece lo accettano si presenta con Chivo. Hanno tutti applicazioni diverse. Istantanee e perfettamente funzionanti, come dovrebbe essere.
Che Chivo si stia rivelando la zavorra dei poveri è un sospetto che, più i giorni passano, più prende forma.