La prima giornata trascorsa integralmente per le strade di San Salvador è stata un successo oltre ogni nostra più rosea previsione. La città è bellissima. Quel guazzabuglio di colori caotici e odori che solo l’America latina sa offrire. I Salvadoregni sono un popolo sorridente e gioviale, pieno di curiosità e di sincera empatia.
Gli obiettivi che ci siamo posti erano pochi ma di vitale importanza: trovare del cibo, degli adattatori per le prese di corrente locali e acquistare delle SIM per i nostri dispositivi. Naturalmente pagando in bitcoin.
In un piccolo negozio di elettronica troviamo due ragazzi entusiasti della nostra missione. Ci dicono che accettano volentieri bitcoin ma non le carte di credito: costano troppo in commissioni. Spunto interessante questo. Dove i soldi sono pochi le commissioni dei giganti del pagamento elettronico pesano eccome e ne disincentivano l’utilizzo. Gettandosi nei tanti mercati di strada infatti il colpo d’occhio è inequivocabile: questa è una società fondata sul contate. Ovunque commercianti e clienti girano con in mano mazzette di banconote sgualcite. È il regno del dollaro quello in cui ci giochiamo questa partita.
Dopo qualche telefonata i due ragazzi riescono anche a recuperarci delle SIM card. Arrivano dall’esterno del negozio e non ci chiedono documenti. L’operazione puzza tanto di mercato nero, ma non ci importa granché. Basta inserire nei telefoni ed iniziano a ricevere alla perfezione. Quando l’illegalità funziona, come direbbe Steve Jobs, it just works. Al momento del pagamento i due giovani ci mostrano l’interfaccia del wallet Chivo e qui iniziano i grattacapi. L’app è poco comprensibile e riescono solo a generare un QR bitcoin, ci tocca quindi pagare sul layer base senza poter sfruttare la rapidità del Lightning Network. Poco male. Ci sediamo fuori dal negozio a guardarci intorno mentre attendiamo che le conferme on-chain arrivino.
Più complesso sarà trovare un ristorante disposto a sfamarci. Ne giriamo una manciata ma nessuno sembra accettare bitcoin. Ci rispondono tutti in maniera gentile, sinceramente dispiaciuti. Finalmente adocchiamo una tavola calda popolare, dai muri scrostati e col giusto feeling. Il proprietario ci fa sedere: si mangia. Il cibo è ottimo. Pesce alla griglia, patate, riso e fagioli, pico de gallo e papusas, le tradizionali focaccine a base di mais. Al momento del pagamento dobbiamo spiegare noi al proprietario come generare una ricevuta Lightning. È nascosta nel menù dell’app. Difficile da trovare. Convinti di avercela finalmente fatta ci rendiamo conto che la transazione parte dal nostro wallet ma non arriva al Chivo. Sparita chissà dove. Avevamo già sentito parlare di un bug simile. Ma speravamo fosse risolto. Regoliamo i conti con un’altra transazione on chain ma l’attesa ci consente di parlare con il proprietario per capire cosa pensa di Bitcoin e della politica salvadoregna. Scopriamo che il loro utilizzo del wallet Chivo è del tutto analogo a come noi usiamo Satispay. Offre una opzione gratuita di pagamento elettronico ed inviare denaro da Chivo a Chivo è sempre istantaneo. Sono pochi i turisti e non aveva mai ricevuto pagamenti da altri wallet. Lo usa prevalentemente per scambiare dollari con amici e clienti. Non ha ben chiaro cosa sia Bitcoin e non capisce assolutamente la differenza tra una transazione on chain ed una Lightning. L’app non aiuta, l’interfaccia grafica sembra dare maggiore preminenza ai pagamenti in USD, quasi come se Bitcoin fosse un accessorio. È interessato alla tecnologia, sostiene di voler approfondire, ma sottolinea come non sia stata promossa nessuna iniziativa didattica da parte del governo e come i pochi tutorial disponibili mostrino solo il funzionamento del wallet senza fare il minimo accenno al protocollo che lo sostiene.
Il centro di San Salvador è caotico e festante. Gruppi di musicisti intrattengono la folla danzante. Dai negozi e dalle bancarelle la musica latinoamericana è onnipresente. Venditori ambulanti commerciano ogni sorta di bevanda e snack. Il tramonto sopra la cattedrale è di un rosa acceso come non ne vedevamo da tempo. Il buio cala in fretta ai tropici e prima di rientrare abbiamo tempo di fermarci a bere due cocktail ad un bar ambulante colorato e un po’ pacchiano.
Un mojito y un margaridas, por favor.
Anche qui la stessa solfa. Il barman genera un indirizzo BTC. Non abbiamo più voglia né la forza di metterci a spiegare come generarne uno Lightning. La serata è calda ed il vento rinfrescante. La musica ci incalza e i nostri drink sono deliziosi. Attendere dieci minuti in queste circostanze non è poi così fastidioso.
È presto per fare un bilancio naturalmente e avremo ancora molte occasioni di approfondire, ma dopo i primi due giorni a El Salvador abbiamo la netta impressione che il collo di bottiglia della Ley Bitcoin sia proprio il wallet di Stato. Non sfrutta appieno le potenzialità della tecnologia, non offre possibilità di approfondimento alla popolazione e funziona bene solo con i pagamenti interni. Così corre quasi il rischio di essere controproducente. La conferma di ciò sta nell’adesivo che vediamo all’esterno di un bar del centro. È tutto viola e anziché dire “accettiamo Bitcoin” recita “accettiamo Chivo”.