Chi di voi si ricorda cosa significasse viaggiare prima dell’undici settembre?
Io molto bene. Sembra ormai una memoria sbiadita ma c’era un tempo in cui prendere un aereo era poco più complesso che salire su un autobus. Un tempo in cui i controlli alla frontiera erano tutti fatti di sguardi annoiati a passaporti malconci e il controllo ai bagagli una fastidiosa rarità. Come dice sempre Edward Snowden la minaccia del terrorismo è davvero stata la scusa con cui i nostri governi ci hanno convinto a rinunciare spontaneamente a molte delle nostre libertà. E a quanto abbiamo rinunciato…
Dopo oltre due anni rinchiusi dalla pandemia globale, affrontare un viaggio transoceanico per recarci ad El Salvador è stata una doccia gelata. Uno sguardo impietoso sulla rigidità della nostra società. Ciò che non è riuscito a toglierci Al Queida ce l’ha tolto il COVID19, su questo non vi è dubbio. Per raccogliere tutti i documenti necessari a partire ci sono servite settimane tra autocertificazioni, esami clinici, visti, bolli e scartoffie. Il presente post pandemico fa sembrare il medioevo di “Non ci resta che piangere” una Arcadia. Abbiamo poi avuto la sciagurata idea di fare scalo negli Stati Uniti. Esperienza questa che non ripeteremo mai più. Per trascorrere solo tre ore all’interno dell’aeroporto di Washington D.C. abbiamo dovuto comunque richiedere (e pagare ovviamente ) l’ESTA, nonostante fossimo solo in transito abbiamo dovuto passare oltre un’ora in coda per subire un minuzioso interrogatorio.
Cosa trasportate? Dove andate? Perché? Siete stati di recente in questi stati? Quanti contanti avete con voi? “Neanche un centesimo Sir, siamo bitcoiner.”
Ci hanno fotografato, singolarmente ed insieme, ci hanno preso le impronte digitali più volte, ci hanno schedati, annotati. I nostri bagagli scansionati e ricontrollati manualmente, ci hanno perquisiti e scrutati col famoso body scanner. Gambe leggermente divaricate e mani in alto mentre un compiaciuto operatore ti ammira il pene.
Ma siamo davvero sicuri che gli States siano davvero così migliori della Cina a questo punto?
Il gigante americano oggi è una creatura ferita, paranoica e obsoleta. La sua mania di controllo e la sua arroganza sono i colpi di coda di un impero morente e obsoleto. Controllare i flussi spontanei di miliardi di persone è utopico come segregare la propagazione di una polmonite. Rinunciare alla nostra libertà di movimento, alla qualità delle nostre vite non ha fermato il terrorismo, che negli ultimi vent’anni ha colpito come e quando voleva. Noncurante dei controlli, degli scanner e della carta bollata. Così come, con l’Europa apparentemente sul precipizio della quarta ondata, evidentemente recludere l’intero pianeta come risposta al virus non deve avere sortito gli effetti desiderati.
Abbiamo pagato un prezzo salato ed il mondo del 2021 è molto meno accogliente e sorridente di quello che era un tempo.
Mentre il nostro aereo plana verso l’aeroporto di San Salvador e dal finestrino si vedono le prime flebili luci di quelle città che, per prime, hanno accolto bitcoin come valuta a corso legale, il pensiero corre alla giornata che abbiamo appena vissuto ed ai tanti disagi subiti. Non riesco davvero a non chiedermi se Bitcoin non sia la possibilità più fulgida per porre rimedio a tutto questo. Al disastro di società che come uomini siamo riusciti ad infliggere a noi stessi. Un bene digitale, assolutamente scarso, fuori dallo spazio e dal tempo, senza confini e transnazionale. Come può non essere un’opportunità?
Un sistema che ignora razze e ceti sociali, può forse unirci tutti, avvicinarci, restituirci libertà, eliminare la paranoia abolendo per sempre il concetto di fiducia. Gettare oggi le fondamenta digitali di un mondo nuovo, fondato su principi diversi, con presupposti diversi: è forse solo un sogno?
Atterrando all’aeroporto di San Salvador sembra che questo futuro possa essere già possibile. I cartelloni pubblicitari fanno bella mostra del simbolo di Bitcoin. Sulle porte dei ristoranti le vetrofanie recitano “acceptamos bitcoin”. La macchina ATM di Chivo, il wallet di Stato con cui si acquistano e vendono bitcoin, è la prima cosa che incontriamo. Tutto sembra molto promettente.
All’uscita veniamo assaliti dai tassisti, la nostra domanda è semplice: noi possiamo pagare solo con la criptovaluta. Si crea un capannello davanti a noi. Facce un po’ perplesse inizialmente. Poi ci si avvicina un tassista corpulento che con un gran sorriso ci mostra il suo smartphone. Ha ben due wallet diversi istallati, Chivo appunto e quello della Bitcoin Beach. I quaranta minuti di auto che servono per raggiungere San Salvador e il nostro hotel sono splendidi. Clima tropicale, palme a perdita d’occhio, musica latinoamericana e tanta stanchezza.
Domani inizia l’avventura.