Rispetto all’anno scorso siamo arrivati in El Salvador un mese prima. Sembra poca cosa, ma fa invece una grande differenza. Siamo sul finire della stagione delle piogge. Questo significa che il tempo è a dir poco capriccioso. Le mattine sono generalmente calde e assolate. Ma spesso nel pomeriggio, nel giro di pochi minuti il cielo si copre di nuvole ed inizia a piovere. La pioggia a queste latitudini e in questa stagione è qualcosa di difficile da descrivere. Va vista. Una quantità abnorme di acqua viene scaraventata al suolo, tutta d’un botto. Il diluvio universale. Un’apoteosi. Poi, passata qualche ora, con la stessa rapidità, torna il sereno. Come se nulla fosse successo.
In questi giorni, per questo motivo, spesso dobbiamo ripararci, passando diverse ore al chiuso. Ne approfittiamo per sbrigare un po’ di lavoro. Stiamo organizzando il resto del viaggio e stiamo cercando di noleggiare un’automobile, naturalmente pagandola coi nostri bitcoin. Ormai siamo abituati a questa routine. Serve un po’ di pazienza e qualche decina di telefonate. Ma domani abbiamo qualche appuntamento e dovremmo quindi essere riusciti a trovarla.
La nostra presenza a San Salvador inoltre non è passata a lungo inosservata. I nostri telefoni squillano in continuazione e un sacco di amici del posto si stanno facendo vivi. È un piacere incontrarli davanti a una buona birra ghiacciata. Anche se piove fa caldo e il clima è afoso.
Sono in molti a parlarci di come oggi El Salvador sia tornato a essere un Paese relativamente sicuro e vivibile, dopo la grande paura causata dalla recrudescenza degli scontri fra gang iniziata a fine marzo. Mesi terribili, che hanno davvero fatto temere il peggio. Tutto è iniziato quando la rivalità tra le bande criminali è riesplosa e nel giro di un paio di giorni ci sono stati oltre 100 omicidi. Un fiume di sangue.
Anche se le vittime erano per lo più pandilleros, come li chiamano qui, il governo non poteva certo stare a guardare e ha reagito col pugno di ferro, dichiarando la legge marziale, schierando polizia ed esercito e organizzando una serie di operazioni speciali. I mesi successivi sono stati, a quanto ci dicono, davvero difficili. Fatti di tante privazioni delle libertà individuali. Gli spostamenti limitati alle zone di residenza, i coprifuoco e le città deserte la notte, i posti di blocco sulle strade extraurbane e nelle principali arterie cittadine. Sono serviti oltre 55.000 arresti per riportare la situazione sotto controllo. Cinquantacinquemila. In un paese con poco più di sei milioni di abitanti.
Per noi “occidentali” è difficile calarsi in una realtà del genere. È qualcosa di inimmaginabile.
Sul governo di El Salvador sono naturalmente anche fioccate le critiche. Molte associazioni umanitarie internazionali denunciano una sistematica violazione dei diritti umani nelle carceri. Si parla di torture, reclusioni arbitrarie, processi sommari.
Oggi il paese è ancora in stato di emergenza. Le leggi speciali non sono ancora state ritirate. Ci sono ancora operazioni di polizia in corso, ci dicono, specie delle aree più periferiche della nazione. Tutte le comunicazioni cellulari sono intercettate, anche le nostre quindi, e in qualsiasi momento le forze dell’ordine possono chiudere senza preavviso intere aree, imporre coprifuoco, istituire posti di blocco, arresti e controlli.
Ma oggi la situazione è tranquilla e possiamo testimoniarlo in prima persona.
Per noi è davvero difficile giudicare e siamo in difficoltà. Da un lato crediamo fermamente che la brutalità non possa mai giustificare altra brutalità. Ma non possiamo nemmeno negare di essere lieti nel vedere i volti dei nostri amici finalmente tranquilli e distesi. Mentre ci godiamo la pioggia.