Siamo arrivati all’evento principale.
Oggi si aprono le porte al grande pubblico e la Bitcoin2022 diventa una vera e propria fiera di settore. C’è tanta eccitazione nell’aria e il pubblico affolla numeroso gli enormi padiglioni del centro conferenze.
Sarà una giornata difficilissima. Ce ne rendiamo conto fin dalle prime ore. Le dimensioni abnormi della location pongono incredibili problemi logistici. Ci sono cinque palchi diversi che lavorano in contemporanea. Una mole inaudita di contenuti. Ci vorrebbe lo staff della CNN per riuscire a seguire tutto e, tocca ammetterlo, siamo un po’ nel panico. Dovremmo seguire i vari panel, parlare con i tanti amici e colleghi che incontriamo nelle varie sale, trovare gli speaker più interessanti e convincerli a concederci il loro tempo. Come se tutto questo non bastasse la sala stampa che lo staff della conferenza ha messo a nostra disposizione è lontana da tutto, nessuno sa dove sia perché è segnalata malissimo e per raggiungerla bisogna camminare per almeno venti minuti. Un incubo.
Tocca ammetterlo: ci prende un certo sconforto.
Scegliamo di essere presenti in sala solo per quelli che sono gli annunci più attesi oppure per le cose che ci interessano di più. È l’unico modo possibile.
Raggiungiamo il Satoshi Stage, il palco principale, per la presentazione di Samson Mow. È una cosa gigantesca, emozionante. Una produzione degna di un concerto dei Rolling Stones. Schermi mastodontici proiettano le più belle frasi di Satoshi Nakamoto, il loghi degli sponsor compaiono e scompaiono a ritmo di musica, e l’impianto è di quelli che ti squassano le budella con le frequenze basse.
Nonostante l’hype incredibile creato e al netto della mega produzione hollywoodiana, il contenuto ci delude un po’: si parla ancora di legal tender “de facto”. Una regione dell’Honduras, un’isola in Portogallo e forse una legge in Messico che nemmeno lo stesso Mow, lo intercettiamo backstage per chiederglielo appena sceso dal palco, sa dire se ha la minima speranza di essere approvata. L’impressione è quella che l’ufficio marketing ormai sia quello che comanda qui dentro. In una logica tutta americana bisogna tenere alto il tono degli annunci. Ogni anno bisogna spararla più grossa, urlare più forte. E se i contenuti scarseggiano si ricorre agli slogan.
Ma del resto, dopo avere annunciato il primo legal tender nella storia, quello di El Salvador, durante l’edizione dell’anno scorso, cosa ci si può inventare per superare un simile clamore?
Torniamo nella media room e finalmente cominciamo ad intervistare i primi ospiti. Il materiale che raccogliamo è interessantissimo ma ci rendiamo subito conto che non riusciremo a pubblicarlo in fretta. Per editare, tradurre e sottotitolare tutto ci vorrebbe una intera redazione. Noi siamo solo in due. Scegliamo quindi di centellinare i contenuti. Li pubblicheremo con regolarità nei prossimi giorni. Puntiamo sulla qualità insomma. Per seguire la conferenza in tempo reale c’è la stampa mainstream del resto. Noi siamo un podcast indipendente. Saremo anche piccoli ma siamo una voce libera. Il nostro compito è approfondire. Dare il nostro taglio alla narrazione. Crediamo sia quello che il nostro pubblico si aspetta e non vogliamo certo deluderlo. La fretta è cattiva consigliera.
Capiamo subito che c’è chi se la tira. Parecchio anche. Sono lontani i giorni in cui eravamo un gruppo di nerd e poco più. Qui ci sono le star. E girano circondate da personale di scorta, manager e addetti stampa. Non riusciremo a intervistare tutti. Non ci verrà concesso. Siamo un po’ delusi ma del resto è inevitabile. Ormai chi ci segue lo sa bene, è diventato una specie di mantra. Il bug è l’uomo. Anche e soprattutto a Miami.