Ci abbiamo messo tre giorni per capire come si sviluppa l’accampamento che qui chiamano El Zonte. Non tanto per la sua vastità, in realtà è un conglomerato di edifici piuttosto piccolo, quanto per la sua totale illogicità. Sorge in una piccola insenatura costiera, ai due lati della foce di un piccolo fiume, il Rio el Zonte appunto. Dalla strada statale che lo sovrasta, la litoranea di cui vi abbiamo già parlato, ci sono quattro diversi accessi, poco più che sentieri sterrati che conducono al mare, sui lati dei quali si sviluppano gli abitati. La Bitcoin Beach quindi è letteralmente divisa da un fiume e per passare da un lato all’altro senza voler risalire fino alla statale, occorre addirittura guadare il Rio. Nulla di troppo complesso, intendiamoci. Siamo nella stagione secca ed è ridotto a poco più che un rigagnolo.
In alcuni sue parti, le più suggestive sia ben inteso, assomiglia ad un villaggio pirata, fatto di stradine sabbiose, baracche assemblate con assi di legno e materiali di recupero, tetti di foglie di palma intrecciate. Il grosso dei locali, dei bar e dei negozietti sono catapecchie ricavate da vecchi container o da vecchie lamiere ondulate arrugginite. Muretti scrostati dalla salsedine, sedie e tavolacci fatti di legno rabberciato, amache di nylon scolorite dal sole. Alcuni scorci sembrano rubati sul set di un film post apocalittico. Da ogni lato però la vista sull’Oceano è mozzafiato, soprattutto al tramonto, ed il fascino delle sue aree più dimesse è irresistibile.
Non possiamo non notare l’assurdo contrasto fra i diversi stili delle architetture. Qua e là infatti, tra le casupole fatte di rottami, spuntano case in muratura nuovissime, con l’intonaco bianco fresco di posa, eleganti gazebo in stile hawaiano e piscine dall’acqua turchese. Questi edifici sono sempre hotel e fanno sempre bella mostra del logo di Bitcoin a caratteri cubitali sulle facciate esterne. Lo esibiscono negli stili e nelle fogge più disparate: con luci al neon, grandi cartelli dipinti, persino aerografato sulle tante tavole da surf appese alle pareti. Qui qualcuno ha già fiutato che il business è in arrivo e non ha perso tempo, onde evitare di farsi trovare impreparato. Le trappole per turisti sono già tese ed aspettano solo che la preda passi. Il rischio che El Zonte si trasformi presto in una tamarissima crypto Las Vegas è concreto, quasi inevitabile. Siamo felici di averla visitata prima dell’irreparabile, quando ancora conserva un barlume della sua autenticità.
Facciamo compere con disinvoltura ed è un ottima cosa, perché acquistiamo cose che davvero ci servivano, come un tubetto di dentifricio e un repellente per zanzare. Qui davvero tutti sembrano accettare i bitcoin e possiamo girare fra le piccole botteghe senza il timore che qualcuno possa chiederci dei contanti. Sono le ultime luci del giorno, il sole sta per tuffarsi nel Pacifico ed irradia il cielo di un rosa e arancione irreali. I surfisti su buttano in acqua per sfruttare le ultime onde e l’atmosfera è davvero suggestiva.
È in questo momento che notiamo un piccolo bar, nulla di diverso dagli altri, per la verità, ma benedetto da una posizione davvero speciale. Sta proprio all’angolo fra la foce del Rio e il mare, ha una tettoia fatta di legnaccio rattoppato e due amache nella posizione perfetta. Sembrano stagliarsi verso il tramonto. Entriamo titubanti, perché e deserto, proviamo ad ordinare due birre ma la risposta che ci arriva ci lascia ammutoliti.
Qui non si accettano bitcoin.
Maria, la giovane proprietaria, ci spiega che lei non ci pensa nemmeno a convertirsi e resisterà fino all’ultimo. Non crede nella tecnologia e pensa che sia un imbroglio dei ricchi a danno dei più poveri. Ci fa notare come fino a poche settimane fa nessuno, nemmeno nella famigerata Bitcoin Beach, se li filasse più di tanto. Nella via dove si trova il suo locale ad esempio, solo tre attività, una minoranza assoluta, erano disposte a riceverli in pagamento. Poi, ci spiega, è arrivata la grande conferenza ad El Salvador e la propaganda mediatica ha iniziato ad essere martellante. I preparativi dell’evento venivano sbandierati su tv e prime pagine dei giornali, il Presidente Bukele non sembrava sapere parlare di altro. E poi c’è stato il grande giorno: le luci, i fuochi d’artificio, la musica assordante. È come se a quel punto il Paese fosse stato travolto dalla febbre da Bitcoin. La gente ha iniziato a credere che presto tutti coloro che possederanno qualche satoshi diventeranno milionari, ci spiega, ma non è così, è solo una truffa, un’esca per ricchi occidentali.
Col denaro, aggiunge, non si scherza, è alla base della società e la gente di El Salvador lo usa per campare. Non può essere sostituito dal giorno alla notte con un ninnolo informatico. Oltre la metà della popolazione, sostiene, non ha uno smartphone e tantomeno un accesso ad internet. Come faranno loro? Saranno definitivamente abbandonati a loro stessi, sostiene Maria.
Quando le facciamo notare che BTC potrebbe crescere parecchio di valore, mentre il dollaro è destinato a perderne e che quindi è una valuta migliore per tenere i propri risparmi, scoppia quasi a ridere. Non ci crede assolutamente a questa narrativa ed inoltre moltissime persone non arrivano al fine settimana con la paga che ricevono, che risparmi dovrebbero mai accumulare? Se anche fosse gli unici che potranno accumulare saranno i ricchi e i privilegiati, non certo chi ne ha davvero bisogno.
È a questo punto poi che la sua critica si fa più pungente. Non si fida delle persone che hanno portato Bitcoin nel villaggio. Dice che si danno tante arie da missionari ma che lo fanno solo per il loro tornaconto personale e che hanno usato metodi poco trasparenti in passato. È gente che non le piace. Lei con la sua attività resisterà finché potrà, finché il Governo non renderà Bitcoin obbligatorio, perché è sicura che succederà. E quando lo decideranno saranno i Bitcoin o i fucili. In El Salvador funziona così, ha sempre funzionato così e questa volta non sarà diverso.