Poco importa se Uber è un’azienda inutile, questa mattina dopo avere rimesso le nostre poche cose negli zaini ed esserci preparati a partire, chiediamo alla reception del nostro hotel di chiamarci un taxi e di chiedere all’autista se gli sarebbe stato bene essere pagato in Bitcoin. Il primo a rispondere accetta subito e dopo meno di quindici minuti stiamo già riempiendo il bagagliaio della sua auto. Imposta da solo su Chivo la transazione Lightning: si vede che ha dimestichezza. Appena partiti infatti ci chiede se siamo ancora in El Salvador dopo la grande conferenza che si è tenuta un paio di settimane fa, ci dice che molti europei ed americani sono venuti per quella e che secondo lui questa cosa del legal tender è una ottima opportunità di sviluppo per il Paese. Gli è già capitato di avere passeggeri che lo hanno pagato in Bitcoin e quello che ha accumulato non ha intenzione di convertirlo in dollari. Ha capito che col tempo si rivaluteranno parecchio. Bravo ragazzo.
Usciti dalle strade caotiche di San Salvador ci gettiamo in una campagna lussureggiante ed assolata, fatta di dolci colline che lentamente degradano verso il mare. Non c’è traffico fuori dalla capitale e viaggiamo veloci. La via è costellata di piccoli insediamenti rurali, muri sgretolati dal sole e facce umili e rugose. Non percorriamo molta strada ed ecco che la grande distesa blu già si staglia innanzi ai nostri occhi.
Ho sempre amato visceralmente l’Oceano Pacifico ed è lungo le sue coste che ho sempre concentrato il grosso dei miei viaggi. È meno scontato e turchese di quello Atlantico, meno docile, meno provinciale e non odora di abbronzante Chanel. Meno milanese insomma. Lo rispetto. La sua mole mi toglie sempre il fiato. Ci si pone davanti enorme, scuro, sempre minaccioso, con le sue spiagge mastodontiche e le sue onde lunghissime.
La strada sulla quale viaggiamo è diventata una litoranea, corre sinuosa tra palme e villaggi costieri. L’automobile affronta una curva e si getta in un lungo rettilineo in fondo al quale riusciamo a distinguere distintamente due grandi cartelli bianchi, con una familiare ₿ arancione centrale e una scritta: benvenuti alla Bitcoin Beach.
È difficile definire El Zonte un agglomerato urbano. Non dovete immaginarvi un piccolo paese, con un centro e delle piazze, magari con una chiesa. Occupa quel lembo di terra tra la strada asfaltata e il martellare delle onde, qualche centinaio di metri al massimo, ed è piuttosto un insieme di insediamenti anarchici, totalmente sregolati. Strade sterrate, catapecchie arrangiate alla bell’e meglio circondate da palme, datteri e alti banani.
In nostro hotel è una specie da campo base per surfisti, molto bello, dall’aria un po’ freak e disinvolta. La nostra camera è accogliente e un po’ spartana. Ha un che di militaresco, ci piace molto, è perfetta per le avventure che stiamo per vivere. Ce ne impossessiamo subito, sistemando le nostre cose, e ci lanciamo all’esplorazione.
Per le strade sconnesse di El Zonte tutto, letteralmente, porta il logo di Bitcoin. Una follia da paese dei balocchi. Ogni cartello, ogni attività, ogni bandiera, ogni maglietta. È ovunque. Il vero e proprio simbolo dell’insediamento. Siamo affamati e troviamo un ristorantino proprio sulla spiaggia. Il sole è cocente e la sabbia, scura e vulcanica, scotta.
Ci guardiamo attorno. Qui la gente è diversa rispetto a San Salvador. Ci sono i locali, certo, ma anche tanti turisti. Sentiamo distintamente molte parlate americane provenire dai vari tavoli. Quest’aera è considerata anche un paradiso per i surfisti e sono in molti ad affollare queste coste quando inizia la stagione. Loro probabilmente non hanno nemmeno idea di cosa stia succedendo qui e sicuramente non sanno cosa sia una criptovaluta. Sicuramente la considerano roba per nerd bianchicci e non se ne curano. Se solo sapessero che è libertà tanto quanto le loro onde…
Nutriti a sufficienza ricominciamo a percorrere i tratturi di El Zonte, quando notiamo un signore con indosso una maglietta rosa e una grande scritta “End Fiat” sulla schiena. È in compagnia di altre persone e gli chiediamo se possiamo fotografarlo per il nostro blog. Ci fermiamo a parlare. È un imprenditore americano, ha investito in Bitcoin anni fa ed è qui per comprare un grande lotto di terra, sul quale vuole costruire una citadel, una specie di compound per bitcoiner. Viene spesso in El Salvador e lo considera una valida alternativa agli States, dove comprare e costruire, anche per la propria famiglia e per i propri figli. I discorsi sono quelli che si farebbero ai margini di una conferenza. Parliamo di tecnologia, inflazione, banche centrali e rivoluzione sociale. Ci sentiamo a casa, anche se siamo dall’altra parte del mondo. Forse è proprio questo il senso di questo luogo.
La sera cala in fretta ai tropici e prima di rientrare nella nostra stanza per metterci a lavorare decidiamo di incontrare un’altro occidentale, conosciuto in un gruppo Telegram di bitcoiner che gravitano attorno alla Beach. È tedesco, ma vive in Francia ormai da anni. Ha una carriera nella tecnologia alle spalle ed ha comprato Bitcoin a partire dal 2015. Oggi non lavora più, fa trading di altre criptovalute ed è stata una crisi di mezza età a portarlo in El Salvador. Senza una meta precisa e senza una data fissata per il rientro. È molto competente ed è piacevole parlare con lui, raccontarci ed ascoltarlo.
Sono bastate poche ore ad El Zonte per capire che in questo posto incontreremo persone peculiari e che è una sorta di bolla, del tutto avulsa dal resto del Paese. Per qualche strano motivo questa è un’area geografica che da anni ormai attrae persone come noi, capaci di intuire per prime che questa cosa è destinata a cambiare tutto. Per sempre ed irreversibilmente.