È arrivato il momento di lasciare San Salvador.
Ci piace tanto la capitale ed è stato giusto decidere di fermarci qui per tutta la nostra prima settimana. Avevamo bisogno di tempo per organizzarci, prendere il giusto ritmo con il tanto lavoro che abbiamo da fare e ricontattare amici locali, importantissimi per il supporto logistico al nostro viaggio.
Ma ora basta. Puntiamo il muso della nostra auto verso la periferia della città e ci lasciamo il suo agglomerato urbano alle spalle. Lentamente, ovviamente, perché il traffico in Centro America è secondo solo a quello di Bangkok o delle grandi metropoli indiane. È divertente però guidare in questo guazzabuglio di rumori e colori, una volta che ci si è fatta l’abitudine.
La prima sfida del pomeriggio è fare il pieno pagandolo in Bitcoin. Chissà come mai gli autonoleggi qui hanno il vizio di portarti l’automobile col serbatoio mezzo vuoto. Almeno, questa è la nostra esperienza, memori anche dei noleggi fatti l’anno scorso. Fortunatamente sembra che in benzinai non abbiano perso il gusto di accettare Bitcoin. Riceviamo un solo laconico no. Al secondo tentativo ci fanno il pieno e ci presentano un codice QR di Chivo senza colpo ferire. La transazione Lightning è anche abbastanza rapida, considerando gli standard dello shitwallet di stato, ovviamente.
A proposito del Chivo wallet. Al momento di lasciare il nostro albergo abbiamo vissuto minuti di confusione e di incredulità. Facciamo colazione, ci rechiamo al desk e chiediamo il conto, pronti a fare check out nel giro di poche ore. Alla reception ci forniscono un indirizzo on chain. Ottimo. Ce lo portiamo in camera e, con tutta calma faccio la transazione dal nostro BitBox02. Imposto le commissioni alte, per avere una conferma rapida, e senza pensarci inizio a riempire gli zaini.
Proprio mentre sto ragionando su quanto è comodo in questo caso Bitcoin, che mi consente di pagare il conto dell’albergo anche dalla camera, senza dovere per forza essere fisicamente davanti al POS con la carta di credito in mano, mi arriva un messaggio Whatsapp dalla reception. Mi scrivono che la transazione di pagamento risulta cancellata. Cancellata? Una transazione Bitcoin? Com’è possibile? Che si sia rotto? Che stavolta sia morto davvero?
Apro il mio laptop e controllo lo stato su mempool. La vedo lì, scolpita nel travertino digitale, con già nove blocchi minati dopo quello che la contiene. Quindi non è confermata, è cementata. Alzo gli occhi al cielo e penso che solo Chivo può fare così schifo.
Mi armo di pazienza e scendo in reception. Mostro le conferme al personale dell’hotel. Spiego che non è possibile che la transazione risulti cancellata. Ci dev’essere un problema sul loro wallet. L’indirizzo è corretto, l’ID transazione è il medesimo. Mi dicono di non preoccuparmi, che chiameranno il servizio clienti di Chivo con tutti i dati e loro risolveranno. Ma prima di congedarmi mi dicono, “certo che questo Bitcoin funziona proprio male.”
Capite? Capite anche da dove deriva la diffidenza?
Loro non hanno gli strumenti per capire che è Chivo il problema, non è Bitcoin. Per loro non c’è nessuna differenza. Vivono quest’esperienza utente allucinante, vergognosa, e per loro questo è Bitcoin. Ovviamente mi prendo del tempo per spiegare come stanno le cose e consiglio di utilizzare un altro wallet. Ma probabilmente saranno state parole al vento.
Colpisce davvero però come lo strumento al centro dell’operazione Bitcoin in questo paese, il wallet di stato, dopo più di quindici mesi dalla sua introduzione riesca a funzionare ancora così male. Voglio dire, come fa un wallet a perdersi una transazione on chain? Deve solo leggere.
Sarà colpa di Algorand. La regina delle shitcoin.