Ci siamo. Stavolta il dado è tratto. Dopo aver trascorso una settimana sull’oceano, tra la Bitcoin Beach e playa El Tunco, siamo tornati nella capitale San Salvador, per le giornate finali di lavoro e di appuntamenti. È ufficiale: mercoledì sera ci aspetta un aereo che scavalcherà l’Atlantico e ci riporterà nella vecchia Europa. Dopo oltre due mesi e mezzo è giunto il momento di salutare El Salvador. Ma sappiamo già che sarà solo un arrivederci.
Nelle ultime settimane ci è successa una cosa particolare, che mi ha dato parecchio su cui riflettere. Recentemente abbiamo rilasciato parecchie interviste e scritto diversi articoli, anche per la stampa generalista, italiana come internazionale. Alcuni di questi sono stati tradotti in spagnolo e hanno circolato abbastanza. Sono stati molto ricondivisi sui social network, ad esempio. In queste occasioni abbiamo fatto quello che siamo soliti fare: descritto la nostra esperienza con grande onestà. Raccontato le tante cose meravigliose che abbiamo visto ma senza evitare di menzionare ciò che ci ha meno convinto. Le critiche e lo scetticismo che abbiamo maturato lavorando sul campo e verificando coi nostri stessi occhi.
Con nostra grande sorpresa, dopo la pubblicazione di questi articoli, scopriamo che alcune testate giornalistiche nazionali, vicine ai partiti all’opposizione, hanno pubblicato a loro volta dei pezzi sulla nostra storia, senza però averci mai interpellato o intervistato. Quello che hanno fatto è stato fare un collage delle nostre interviste alle altre testate, epurarle di tutte le nostre considerazioni positive, selezionando solo le critiche e dando quindi una visione del tutto distorta del nostro pensiero. Hanno persino rubacchiato delle foto dal nostro blog, per dare credibilità al loro lavoro.
Sia ben chiaro, la cosa non ci stupisce minimamente. Sappiamo bene come lavorano i giornalisti, anche a casa nostra. Quanta disonestà e piaggeria ci sia nella carta stampata e quali beceri trucchi siano in grado di escogitare le testate giornalistiche, specie quando sono a tutti gli effetti stampa di regime, politicizzata e palesemente partigiana. Quindi la cosa non ci ha fatto arrabbiare. Anzi, ha provocato in noi una immediata e netta alzata di spalle.
Qualche giorno dopo però veniamo invitati da un amico in uno dei luoghi più esclusivi di tutto El Salvador, a casa di una ricchissima famiglia di imprenditori locali.
È necessario puntualizzare che stiamo parlando dei veri privilegiati. Di quel divario sociale che solo nei paesi in via di sviluppo si riesce ad incontrare. Ci riferiamo ad un luogo nel quale alcuni proprietari arrivano in elicottero, dove tutti hanno la servitù e dove c’è chi nutre il proprio cane con filetto di salmone e Quinoa.
Fin dalle prime battute il nostro anfitrione ci tiene a puntualizzare il proprio odio profondo per Bitcoin. Non siamo stupiti, lo abbiamo spesso raccontato, l’alta società è una fiera avversaria di Bukele e vede la criptovaluta come una sua iniziativa politica. Questo, per loro è sufficiente, non hanno la voglia, l’umiltà e nemmeno l’intelligenza, forse, di voler approfondire.
Ma c’è di più. Sanno che Bitcoin nel paese è l’unico progetto del Presidente a suscitare perplessità e quindi lo vedono come il suo tallone d’Achille.
La conversazione presto si focalizza sugli articoli incriminati, quelli in cui le nostre parole sono state distorte e manipolate, e chi ci ospita ammette di averli letti con soddisfazione. Non solo, racconta di come la stampa anti Bukele venga foraggiata economicamente da famiglie come la sua. Sono loro a pagare per sostenere il dissenso, a consentire ad articoli come questo di uscire, a foraggiare la contro propaganda, e il loro obiettivo è Bitcoin. Sono i loro dollari a soffiare sui tizzoni ardenti di uno scontro politico cieco e polarizzato. Ad ogni costo. Seguendo il più banale copione da operetta politica. Sempre uguale a se stesso, a ogni latitudine. Poco importa se per annichilire l’avversario occorre mentire, disinformare, e magari, così facendo, privare i cittadini di uno strumento che potrebbe essere anche opportunità e riscatto.
Che imbecilli gli esseri umani.
È questo il lato oscuro del legal tender. L’aver trascinato Bitcoin in una disputa politica che non gli appartiene. L’averlo volgarizzato fino ad averlo reso uno spot elettorale. Sporco, come i volantini dei partiti buttati nei cestini dell’immondizia, durante le campagne elettorali.
E poi mi sono chiesto: ma noi bitcoiner come ci stiamo comportando in tutto questo? Siamo laici e scientifici oppure ci stiamo facendo trascinare nel fango di questa competizione indegna?
Pochi giorni fa siamo stati invitati alla festa organizzata da Max e Stacy, nell’hotel più esclusivo di El Zonte. Poco dopo essere salito sul palco Keiser invita la folla a cantare in coro e ripetutamente il nome di Bukele. Durante la sessione di Q&A finale un’ospite dall’accento americano invita tutti i presenti a rispondere alla domanda “chi è il Presidente più cool del mondo”, mentre riprende la scena, tutto tronfio, col proprio iPhone. Tutto questo è avvenuto sotto l’occhio vigile delle telecamere della tv nazionale, ovviamente accorsa per documentare l’evento.
Siamo proprio sicuri che tutto questo sia necessario? È giusto? È nell’interesse di Bitcoin? È rispettoso nei confronti della popolazione locale?
Davvero vogliamo sostituire la nostra ammirazione per un inventore, tanto umile da celarsi dietro l’anonimato, tanto generoso da saper regalare il frutto del proprio lavoro al mondo, con questa forma di idolatria nei confronti di un politico il cui unico scopo è l’accentramento del potere secondo la propria agenda personale?
È il tifo politico, quindi, la nostra scelta strategica per contribuire all’adozione di Bitcoin in El Salvador?